È stata inaugurata sabato 25 febbraio 2023 la Casa per Anziani della Valle Antrona di Montescheno.
Una giornata che ha rappresentato l’avverarsi di un sogno rimasto nel cassetto per anni e che finalmente ha preso forma tra non poche difficoltà.
Cosa significa questa inaugurazione per tutti voi che questa casa la vivete quotidianamente?
«È un’occasione preziosa – spiega la direttrice Simonetta Valterio – per presentare a tutta la popolazione della Casa e dell’intera Valle Antrona un risultato che reputiamo prezioso per questo territorio decentrato.
E, parafrasando il climatologo Luca Mercalli, “saremo più felici e ci salveremo solo tornando a vivere in montagna”.
Quando avete incominciato a ipotizzare l’ampliamento della struttura di Montescheno?
«Ci abbiamo pensato a lungo, facendo tutti gli studi di fattibilità necessari e, soprattutto, cercando la sostenibilità economica dell’idea che avevamo nel cuore – sottolinea la direttrice. Il nostro desiderio era di riuscire a tenere in valle gli anziani che avessero bisogno di un inserimento in RSA, cercando, in questo modo, di alleggerire lo sradicamento causato dal lasciare la propria abitazione e l’allontanarsi dagli affetti più cari. In più c’era, nelle nostre intenzioni, il pensiero di potenziare i servizi a supporto della domiciliarità, dei caregiver e di integrazione con le comunità locali».
Il progetto è stato, infatti, realizzato tra il 2018 e il 2019 e i lavori sono iniziati nel 2020.
Non è stato un cantiere semplice. Oltre ai normali imprevisti di un cantiere, come le condizioni atmosferiche avverse, qualche roccia inattesa e la burocrazia, si è aggiunta la pandemia Covid 19 che ha comportato un aumento dei costi, un allungamento dei tempi di realizzazione, anche per l’ammalarsi delle squadre di lavoro, e un difficile equilibrio nella gestione degli ospiti della struttura.
Finalmente, però, la Casa è terminata e funzionante. Possiamo dire che questi due anni difficili cominciano a essere un ricordo?
«Non è stato un periodo semplice per nessuno – prosegue Valterio. – Gestire un cantiere e una pandemia in una comunità di anziani fragili è stato complesso, ma tutti ci hanno messo spirito e buona volontà e adesso possiamo goderne insieme i risultati.
Oggi abbiamo una nuova struttura di 20 posti in cui, dal 27 dicembre del 2021, abbiamo trasferito tutti gli anziani, procedendo così alla ristrutturazione della Casa esistente. Confidiamo, prima dell’estate, di poter usufruire di un totale di 40 posti letto (contro i 23 originari) e di una serie di servizi per le persone che vivono nelle case della Valle e che hanno bisogno di socialità o di piccoli servizi di supporto.
Nel futuro di questa Casa la vediamo diventare un punto di riferimento per anziani, famiglie e comunità che, pur con bisogno di supporto, vorranno viverla in modo proattivo e collaborativo¬».
Il progetto di ristrutturazione è stato finanziato attraverso canali differenti. Anche un progetto Interreg?
«Sì – ci spiega – la Casa è stata realizzata grazie a diverse risorse e a un intenso lavoro di fundraising. Avevamo a disposizione un po’ di risorse interne accantonate in vista del progetto. Abbiamo poi ricevuto un contributo di € 155.000 da Fondazione Cariplo, attraverso gli emblematici provinciali della Fondazione Comunitaria VCO; un contributo di € 200.000 tramite il progetto Interreg “Pallium” dedicato alle Cure Palliative; € 17.500 di donazioni da privati e associazioni e abbiamo acceso un mutuo di € 1.200.000 che estingueremo in 18 anni».
Per l’inaugurazione di oggi avete scelto di svelare anche un’opera molto particolare. Di cosa si tratta?
«È il risultato di un progetto di arte relazionale – racconta la coordinatrice Ilaria Farioli – nel quale abbiamo coinvolto le nostre Oss, il personale infermieristico, di cucina e amministrativo e alcuni ospiti. Un’esperienza per dire grazie alle nostre persone ma anche per rimetterci in contatto con le nostre motivazioni quotidiane nel fare questo lavoro e nel vivere questo luogo».
«L’Arte relazionale – spiega l’artista Antonio Spanedda, che con la giornalista Cristina Barberis Negra e il cineoperatore Lorenzo Camocardi, ha contribuito alla realizzazione dell’opera – è un’arte partecipata, un’arte che crea rapporti e relazioni tra chi agisce e chi guarda, tra chi ritrae e chi è ritratto. Insieme si abita un mondo e lo si restituisce in visioni sempre mutevoli di cui tutti siamo protagonisti e autori».
Come è stata vissuta questa esperienza?
È stata un’esperienza interessante e arricchente per tutti, – conclude Farioli – un’occasione anche di svago per i nostri ospiti, e ha portato a un risultato che rimarrà nella storia della nostra Casa.
Come abbiamo scritto sulla cartolina ricordo della giornata: “Da questo intreccio di vite e storie umane e da questa storica Casa, è nato un dono di immortalità, per chi c’è stato, c’è e ci sarà, che solo l’arte sa donare”.